Il classico.
Emozioni che rotolano su un campo verde. Il solito. Barcellona-Real Madrid non
smette mai di regalarci emozioni forti. Un miliardo di anime calcistiche in
cerca di bel gioco emigrano simultaneamente nell’oasi futbolistica spagnola.
Per novanta minuti la crisi è riposta nel dimenticatoio mentre arbitri,
giocatori e spalti sostituiscono banchieri, partiti e parlamenti.
A fronte del clasico il derby di Milano diventa una partita tra scapoli e ammogliati.
Impossibile che Sky non lo trasmetta in Italia. Con tutti i soldi che riceve
dai clienti, riassume in una profonda analisi un
utente del cinguettio più assordante del ventunesimo millennio, che si firma
Emi_bar. Concludendo filosoficamente: “però te fanno vedè Cittadella-Gubbio”.
L’inadeguatezza
dei canali sportivi italiani è quindi dribblata, da noi amanti del bel gioco, con un fulminante doppio passo
informatico.
Le indiscrezioni
riguardanti la coreografia si rivelano esatte. Novantotto mila tasselli
colorati tinteggiano il Camp Nou disegnando un’immensa senyera, la bandiera
catalana, mentre il pubblico intona le note dell’inno barcellonista “Tot
el camp, és un clam, som la gent blaugrana”..."Una bandera ens agermana". Una bandiera ci rende fratelli. Anche se sarebbe meglio dire "due" in questo caso: quella del Barcellona e quella catalana.
Il colpo di scena è al minuto 17 e 14 secondi, che ricorda il 1714, data della conquista spagnola e della derrota della Catalogna. Dagli spalti si alza un coro
unanime :“Indipendencia”.
L’effetto è
impressionante. Lo stadio è trasformato in teatro, spazio pubblico dove va in
scena l’epica battaglia.
Nelle parole
del grande scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán “Il Barça è l’esercito
disarmato della Catalogna” e agli occhi di molti tifosi blaugrana il Real di Mourinho
non solo rappresenta la tanto odiata corona spagnola, ma un esercito rivale,
formato da mercenari provenienti da tutto il mondo e guidati da un reietto
traduttore portoghese che quando assisteva Bobby Robson alla guida della compagine catalana gridava: “ Hoy,
mañana y siempre con el Barça en el corazon”. Alto tradimento.
Quale
migliora occasione, dopo la diada dell’undici settembre e il milione di
manifestanti in piazza, per reclamare un sentimento largamente condiviso e guadagnare visibilità
nel mondo intero.
Ma la partita si gioca sul campo. Abbandonati
i convenevoli di benvingut, i veri protagonisti guadagnano la scena. Il Barcellona
schiera un’inedita linea difensiva con Adriano e Mascherano come centrali, non disponendo degli infortunati Puyol e Piqué. Mourinho fa fruttare i quarantadue milioni di euro spesi quest'estate lasciando Modrić in panchina. Oltre al croato il Real ha caldamente accomodati nel ruolo di riserve: Essien, Kakà, Higuain. Delle seconde linee che farebbero gola a sceicchi ed oligarchi di entrambi gli emisferi calcistici.
La partita
inizia come un Classico. Solito palleggio rapido e calibrato del Barcellona e
le merengues che attendono compatte e ordinate, pronte a colpire con improvvisi contropiedi.
La
situazione si sblocca al ventesimo del primo tempo. L’azione parte da un cambio
di campo illuminante di Xabi Alonso. Özil, avendo una lunga storia d’amore con l’oggetto
in arrivo, stoppa deliziosamente. Il risultato delle sue carezze sarà un amplesso multiplo: Di Maria, nuovamente Özil, Marcelo, tacco per Khedira, Benzema, protezione del pallone da attaccante
di razza e sorti della sfera deposte nei piedi di Ronaldo che la destina alle spalle di un
impotente Valdes. Un’azione alla Barça. Zero ad uno.
Calma.
Calma. Calma Il gesto del portoghese ammutolisce il Camp Nou. A peggiorare la
scricchiolante struttura culè, ferita nell'orgoglio, ci pensa Dani Alves che esce
per infortunio al ventottesimo. Entra Montoya. La difesa del Barcellona ora
sembra una scolaresca invitata alla prima di Shining.
Ma gli
ingranaggi dell'Arancia Meccanica di Tito Vilanova si rimettono presto in ordine. Classica incursione centrale dell’orchestra
guidata da Xavi e Iniesta. Palla larga verso l’esterno a Pedro, un cross
deviato due volte e una scomposta elevazione di Pepe. Un guizzo di Messi a tu
per tu con Casillas. Pareggio.
Il secondo
tempo parte con l’acceleratore. Scambi vertiginosi, classici duelli, duri contrasti e un rigore reclamato per
parte. Poi al sessantesimo una Pulce argentina, catalana d'adozione, erede del
genio di Dalì, con una pennellata estesa, disegna un baffo ricurvo, una traiettoria surrealista, che finisce sotto il sette inutilmente protetto da un Casillas in caduta
libera.
Esplosione
di gioia. Esultanza incontenibile. Di questo parlava poco settimane fa Sandro Rosell, presidente del Barcellona. I nostri ad ogni gol gioiscono sempre. Non come
altri. Riferito al tanto odiato Cristiano Ronaldo, nemesi di Messi.
Destino
vuole che sotto gli occhi dei centomila tifosi blaugrana segni un’altra
volta il portoghese. Cristiano 2, Lionel 2. Freddezza di un cecchino
professionista e genio di un bambino spensierato. Due facce della stessa
medaglia.
Le speranze catalane di una clamoroso finale si fermano prima contro una monarchica traversa, che si oppone alla maestria indipendentista del tikitaka e al tiro del giovane Montoya, e successivamente muoiono sul fondo, al lato del reale Casillas, soffocate nel fiatone di un Pedro troppo stanco per concludere lucidamente.
Pareggio. Un risultato che in situazioni di classifica differenti avrebbe giovato al Madrid, ospite nella bolgia del Camp Nou, ma che di fatto lascia invariata un'impietosa classifica che vede Mourinho ed i suoi inseguire le mire monopoliste blaugrana a meno otto punti.
Un pareggio più netto per i Messisti e Cr7isti che continueranno senza sosta il loro scontro di religioni, di visioni opposte del mondo del Calcio e di infinite diatribe citando doppi passi, palloni d'oro e tagli di capelli. Io nel mio relativismo continuo ad apprezzare e ad amare i gregari ed i rifinitori oscuri: Xabi Alonso, Özil, Xavi, Iniesta e Busquets.
Una vittoria simbolica per gli indipendentisti. Un pareggio amaro per Mou e un pareggio felice per Tito Vilanova. Una vittoria per gli amanti del bel gioco. Un Classico mai al di sotto delle aspettative. Un Classico inedito, per l'assenza di strascichi polemici, risse da bar e accanimento verso l'arbitro. Un Classico da godersi sugli spalti e nel campo. Il solito. Ma ogni volta sempre migliore di quello precedente...
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